La trilogia di Lamberti, un monumento vivente ai caduti
Riceviamo e volentieri pubblichiamo la recensione di. Libero Nero a commento del volume “Settembre 1943 – Da San Liberatore a Napoli – Epilogo di una battaglia” (Iovene edizioni). Questo libro completa con i primi due volumi (2022,2023, incentrati sui combattimenti dal caposaldo San Liberatore) la monumentale trilogia che, sulla base di documenti originali dell’esercito tedesco, racconta le vicende dello Sbarco a Salerno degli Alleati Angloamericani (1943), l’Operazione Avalanche, la Resistenza dei Tedeschi, a parziale protezione delle truppe del Centro Nord, gli eventi che portarono alle quattro giornate di Napoli, il dolore della morte di tanti giovani soldati, le opere di pietà, a cominciare dal recupero dei caduti tedeschi ad opera di Mamma Lucia, che hanno regalato un po’ di luce e di calore nel buio e nell’odio di quei tempi.
A proposito di Mamma Lucia, proprio le innovative e insostituibili ricerche effettuate da Francesco Lamberti, dal Prof. Lutz Klinkhammer, Vice Presidente dell’Istituto Storico Germanico di Roma, e dagli altri consulenti e collaboratori, hanno tra l’altro permesso di stilare l’elenco più completo possibile dei “bell’ ’i mamma” recuperati e restituiti alla Paria e alle famiglie. Anche per questo l’uscita del terzo volume della trilogia è stata salutata con grande attenzione e ammirazione dagli studiosi e dai cultori, oltre che dai semplici cittadini dei nostri territori che hanno vissuto nel Locale i Grandi Giorni della Storia Globale.
Onore, complimenti e grazie, quindi, a Lamberti e Klimkhammer, colonne portanti della costituzione del Museo, e un ideale abbraccio a coloro che, come Libero. Nero, hanno dato visibilità ad un lavoro così significativo come la loro “trilogia”.
Il recensore ha aggiunto delle considerazioni etiche e religiose che, unite a quelle presenti in tutti e tre i volumi, hanno arricchito, e arricchiscono chiunque nei fatti della Storia vuole cercare e trovare non solo le statistiche ma soprattutto l’Uomo e i suoi grandi valori, possibili soprattutto in tempo di Pace, ma sulla scia degli esempi dati da coloro che hanno combattuto e sofferto in tempo di guerra. Nel caso specifico, Libero Nero ha messo in evidenza l’importanza, ai fini del raggiungimento della Pace e dell’Amore, dell’abbandono a Gesù e ai valori cristiani, che prende lo spunto proprio dalla bella “preghiera dell’abbandono” di don Dolindo Ruotolo, pubblicata nel libro.
E aggiungiamo anche che, come nei precedenti volumi, vale “l’assioma klinkhammeriano” secondo il quale la storiografia non è mai definitiva, per cui se si fa ricerca possono pur sempre emergere nuovi dettagli o episodi che aggiungono luci chiarificatrici e soddisfano la nostra sete di conoscere chi siamo. (FBV)
Ogni guerra è storia di un abbandono negato.
La guerra è divina perché l’uomo, inteso nella sua tragica individualità, nella sua solitudine scomposta, crede di essere immortale, come un dio, di poter decidere del suo destino con successo, senza bisogno alcuno della preghiera, senza cedere terreno a Chi lo ama realmente. Dimentica che
il vero valore è nella debolezza, nella mitezza, nella fragilità.
Gli dei, quella dell’età classica, lo avrebbero invidiato proprio perché mortale. La vita è preziosa in quanto unica, irripetibile e destinata a fine certa. Gli errori che registra, il suo spegnersi prematuramente traducono solo un’evidente verità: non c’è nessun abbandono a Dio, nessuna fiducia nella sua infallibilità, nessuna convinzione della certezza del Suo abbraccio.
Dove c’è guerra, dice qualcuno, non ci sono né genitori e né figli. Questo vale nei grandi e piccoli
conflitti: quelli giocati dagli eserciti e quelli che si consumano entro le mura domestiche, all’interno delle famiglie. Dove si decreta la morte fisica e spirituale di qualcuno non c’è un padre, non c’è una guida, non c’è coscienza reale e comprensione. Dio scompare e con Lui tutti quelli che non Gli si rivolgono.
Dall’infaticabile penna dell’uomo Francesco Lamberti e dal suo studio attento e preciso delle vicende storiche nasce un’opera che racconta proprio questo: come il mancato atto di abbandono a Dio generi ovunque la guerra, fuori e dentro di noi.
L’ansia spasmodica di raccontare, minuto per minuto, le battaglie consumatesi in seguito allo sbarco degli alleati a Salerno l’8 settembre del 1943 tra San Liberatore e Napoli nasce dalla volontà
di rendere onore al singolo, di ricordare ogni croce, ogni nome, senza corruzione di genere, senza inquinamento, senza pregiudizi. Il soldato tedesco è spesso descritto nella sua umanità, dignitoso nella ritirata, eroico nella sconfitta e nella convinzione del tradimento subito. Il soldato italiano è raccontato nel suo senso di profondo smarrimento di fronte a fatti e a decisioni partoriti da uno stato non genitore, che crede di salvare se stesso, ma dimentica la voce dei propri figli. Non si dimostra quindi solamente assetato di una vendetta trasversa, ma capace di contestualizzare, di vestire l’uniforme del vecchio alleato, ora nemico, quando non concepisce la validità di un progetto. Quando il pericolo arriva dal mare, quell’8 settembre, la confusione dilaga.
La firma dell’armistizio appende l’Italia alla forca di Paese cobelligerante e il suo corpo, straziato nelle membra e deturpato fino alle ossa, penzola vergognosamente, mentre lo Stato maggiore, incapace di rispondere alle richieste di direttive di guerra, volge lo sguardo altrove e abbandona il singolo a un’azione disordinata, a una difesa fuori da ogni logica. In venti giorni di battaglie la facoltà di agire viene lasciata al singolo o, nei casi più fortunati, al regio esercito. È follia e fuochi confusi bruciano al suolo come stelle nel firmamento.
La guerra non ha capacità di discernimento e, come esprimeva bene Eschilo, la natura mortale, di fronte alla paura, è portata spesso a calpestare chi già è caduto. Tutto si piega alla volontà di un conflitto; le priorità cambiano, nuovi fantasmi subentrano a incutere terrore. Di fronte a quest’ultimo diventa lecito massacrare, lacerare corpi, prenderli a morsi, quasi volendosene cibare per recuperare quanto è stato tolto, come risarcimento dell’odio che viene dall’altro. Ogni mezzo si considera utilizzabile in nome dell’amor di patria, della libertà o semplicemente per guadagnare la pelle.
Atti crudeli sono stati compiuti da parte di entrambi gli schieramenti, azioni violente senza ragione di essere. Ma il secondo conflitto mondiale non è stato solo questo. Grida di pace e gesti eroici sono stati compiuti disprezzando il pericolo; luce e speranza hanno continuato a brillare nel buio diffuso.
Tutto ciò viene lucidamente raccontato in questo testo, dove evidente è l’assioma lambertiano che ne nasce: “Tutto è provvidenza”.
E allora l’estrema precisione, le dovizie di particolari, il ricorso alla memoria orale e scritta, la ricerca delle fonti, così bene documentate, si prestano ad un unico scopo: rendere onore alla verità,
primo compito di ogni buono storiografo, raccontando l’odio cieco, il dolore, ma anche l’amore, lo spirito di fratellanza che ha spesso unito bandiere diverse. E questo quasi a ricordare che, comunque, a seguire le azioni umane c’è un filo invisibile, un legame indissolubile: Dio stesso.
Gesù espresse chiaramente gli effetti del suo farsi Uomo. “Sono venuto a portare la spada, a dividere”. Il suo messaggio è rivoluzionario perché porta a interrogarsi, a scegliere le vesti da
indossare. Ognuno cuce per sé un abito diverso e crede di essere nel giusto rispetto alla parola del Signore. Così, alla notizia dell’armistizio, mentre si mettono a punto le fortificazioni e si è pronti a respingere il nemico, in alcune strade Italiani e Tedeschi ballano insieme nella prospettiva di una pace vicina…
Chi è il nemico? Chi la vittima? Chi il carnefice?
Sono queste delle domande che per fortuna non trovano risposta, perché non c’è nessuno stereotipo da vendere di fronte al tribunale della Giustizia, ma solo voci fuori dal coro. Come quella di Mamma Lucia, simbolo della Pietas cristiana, che scava i corpi di ragazzi innocenti nella terra delle città morte; come quella dell’anziano civile partenopeo che va a recuperare in un dirupo il cadavere di un soldato tedesco ucciso barbaramente per assicurargli una sepoltura dignitosa. Perché questo rimane a ricordare dopo la morte: la tomba di chi ha lasciato la vita. E questa, come ben esprimeva Ugo Foscolo, è di sprone ai vivi: testimonia ciò che è stato sfidando l’opera distruttrice del tempo, invita alla riflessione, al ragionamento, al cambiamento.
Non a caso l’autore di questo libro, nel cercare di rendere onore a tutte le croci, ha trovato risposte e dati anche nei luoghi di sepoltura dei caduti. Non a caso si impegna a citare maggiormente i morti, non i vivi. Perché i morti, come affermava Tucidide, albergano nell’animo di ognuno; anche loro hanno fatto la guerra.
E se nei libri di scuola ciò che viene trasmesso è il freddo resoconto dei tragici eventi bellici nella loro sintetica complessità, finalmente un testo che racconta la microstoria, che mette sotto la lente d’ingrandimento accadimenti altrimenti giudicati insignificanti. Un testo che vuole rileggere il passato affinché diventi coscienza del presente, che vuole trasmettere una luminosa visione
panteistica della vita.
Il 30 settembre i Tedeschi abbandonano Napoli, città che in realtà non fu mai realmente difesa perché priva di valore militare. Il 1° ottobre 1943 si chiude l’Operazione Avalanche con l’ingresso
delle truppe alleate nel capoluogo.
Termina così un capitolo della Seconda Guerra Mondiale, ma non si chiude nel cuore di chi ha fatto di quel periodo storico una passione. Merito quindi a Francesco Lamberti che, come storico e
come uomo, cerca nuove chiavi di lettura del passato, alla ricerca di quella verità che non va mai trascurata e dietro la quale si palesa Dio. Merito all’autore che, con questo libro, erige un monumento vivente ai caduti.
Libero Nero